novembre 29, 2010

show must go on.

A fare italiano che domani interroga e non si sa chi.
Il discorso è che siamo a fare la morte di Argo, e insomma che la prof se ne vada affanculo.
Son qui che ascolto i Modà, che non li ascoltavo da anni, e mi chiedo com'è possibile che io ricordi ancora ogni singola frase, ogni singola parola, ogni singola nota. Addirittura ogni singola volta in cui le abbiamo ascoltate insieme, tutte queste canzoni che ora non ascolterei più, ma che in effetti ora sento più che altro perché hanno quel profumo di passato che m'è sempre piaciuto un sacco, un po' come l'odore dei libri.
Tutto il pomeriggio che vorrei telefonare, ma il cellulare non funziona e il cordless ce l'ha nonna su, quindi insomma, neanche a farlo apposta. Per forza poi dicono che non mi faccio mai sentire, hanno ragione. Anche volendo, non posso.
Anche potendo, non voglio.
Tutto il giorno che son qui che cerco di concentrarmi su qualcosa e non ci riesco. L'unica cosa che ho focalizzato bene in tutta la mattinata è stato il voto di latino -mi son sentita realizzata come non mai, a vedere quell'otto scritto in rosso sotto al mio nome- e il viso del mio prof di educazione fisica che è tornato e che m'ha guardato sorridendo quando sono entrata nello stanzino, e poi m'ha detto che non vedeva l'ora di tornare a scuola, E poi, dai, vuoi mettere venire qua e vederti tutte le mattine? Guarda che bella visione che ho!, che insomma, è la prima volta che mi fa un complimento, quell'uomo, mica posso stare sul mio pianeta mentre dice una cosa simile.
Però come siete brutte. Vi ho lasciato che eravate brutte e vi ritrovo che siete bruttissime. Quella battuta accompagnata da un sorriso e una mano intorno alle spalle che suonava tanto come un 'Non è cambiato niente, è ancora tutto come prima, il mondo è sempre uguale'. Forse è per quello che per una volta, una, non gli ho risposto scherzando. Gli ho sorriso e basta. Un sorriso che voleva dire 'Grazie'. E lui mi ha fatto l'occhiolino. Un occhiolino che sapeva tanto di 'Non c'è di che'.

Quindi niente, insomma, mentre io sto sul mio pianeta il mondo va, ma alla fine non cambia mai.
E la cosa mi rassicura un po'.

novembre 28, 2010

Sarò sincero.

Sento spesso il bisogno di chiudere gli occhi e capire se è giusto pensarti lo stesso anche se sei un ricordo, ed è strano ricevere tanto da te senza averti vicino.
Ora che è freddo, vorrei tanto averti qui addosso e sentire più caldo, non avere più paure e impegnarmi per farti star bene, perché per me sei il sole e le mie parole non son solo parole.
Io sento le tue mani lo stesso, anche se non ti ho accanto.
Vorrei averti vicino per farti sentire che bello è l'inverno, dove un semplice abbraccio può sembrare diverso perché oltre al contatto trasmette qualcosa di molto più caldo.
Mi domando se è giusto, se son pazzo, se è sbagliato quel che sto facendo.
Mi rispondo che posso mentire con tutti ma non a me stesso, che non voglio rinunciare a qualcosa che sento e che voglio di brutto e che cerco nel vento.
Giuro, le mie parole non son solo parole.
Io sento le tue mani lo stesso, anche se non ti ho accanto.
Vorrei averti vicino per farti sentire che bello è l'inverno, dove un semplice abbraccio può sembrare diverso perché oltre al contatto trasmette qualcosa di molto più caldo.


Sarò sincero - Modà.
Sempre della serie del post precedente.

Voglio viverti.

Parlami, ti prego, dì qualcosa.
Oppure stringimi.
Ho paura del silenzio e dei tuoi brividi. E dei miei limiti.

Scusami se ho preferito scriverlo che dirtelo, ma non è facile dirti che sei diventato il senso di ogni mio giorno, momento, perché sei fragile e, come me, sai piangere.

Per la serie "Come ritrovare cantanti che hanno accompagnato quella parte di vita e decidere di ascoltare tutta la discografia, per poi ritrovarsi a canticchiare le parti più significative con il magone, e decidere addirittura di scrivere una frase di canzone nel blog, tanto per volersi male".

Cit. #2

Per parecchio tempo, il mio unico scopo nella vita è stato autodistruggermi.
Poi, una volta, ho avuto voglia di felicità. E’ terribile, mi vergogno, scusatemi: un giorno ho avuto questa volgare tentazione di essere felice. Solo in seguito ho imparato che quello era il miglior modo per distruggermi. In fondo, senza farlo apposta, sono un ragazzo coerente.

Frederic Beigbeder
Ha il viso dolce e due occhi dai lineamenti orientali che stanno a metà tra il verde e il nocciola. Perfettamente a metà.
Ha un neo poco sopra il labbro superiore che non le piace, che vorrebbe nascondere, e invece è bellissimo, solo che lei non se ne accorge.
Ha voglia di scappare da qui, ed ha solo nove anni.
Ieri mi ha urlato che per lei mamma potrebbe anche morire e a lei non gliene fregherebbe niente, e io le ho detto che non è vero, che lo sa anche lei. Però non le ho detto di vergognarsi. Non deve.
L'altro giorno s'è messa a piangere quando babbo se n'è andato. Io non capivo cosa le cambiasse, che lui fosse qui o meno.

Ho una sorella che già adesso sembra troppo grande, eppure troppo piccola.
Sa che questo mondo è una merda, che questa casa è uno schifo, e vorrebbe andare via. Io questa consapevolezza l'ho sviluppata che ero già adolescente.
Non capisce che mamma è così perché è la presenza di babbo che la inquina, non si rende conto che mamma diventa insopportabile quando babbo la chiama e le dice "Stasera vengo a casa". Io queste cose le ho capite che ancora ero in seconda elementare.
Ho una sorella che adesso sta studiando italiano e io cerco di stare calma mentre mi canna quasi tutti i verbi, perché voglio che li impari bene; deve imparare a parlare ed esprimersi, e un giorno mandare tutti affanculo con molta diplomazia. Deve, un giorno, preparare le sue cose, voltarsi verso mamma, e farle un discorso grammaticalmente impeccabile sul che schifo sia vivere qui, prendere e andarsene, prima che qualcuno elabori una risposta anche solo sufficiente a farla restare.
Deve essere pronta a farlo lei, se io non riuscirò, in qualche modo, a farlo.
Deve andare via da questi muri che sudano stanchezza e delusione.
Almeno lei.

novembre 27, 2010

Stanotte ti amerò come se non potessi farlo mai più.

Sabato ventisette novembre duemiladieci, ore ventritre e zero uno, all'orologio da parete con la cinquecento gialla disegnata sopra.

Si dice sabato sera, eppure qui sembra notte, con il buio, il freddo, il profumo di shampoo alla vaniglia e la neve che scende mischiata alla pioggia fuori dalla finestra. Se solo la neve si fermasse, se solo non mi fossi piazzata davanti un libro di latino per smettere di pensare, forse potrebbe sembrare Natale. Forse.
Si dice sabato sera eppure sembra notte, e qui sa tutto di passato e di dicembre, nonostante siamo nel presente e ancora, nonostante tutto, a novembre.
Comunque il discorso è che sembra notte dicembrina e tutto sembra più forte, persino il battito del cuore, e ogni emozione che provo sembra più intensa, come nella canzone, che anche se non amo il genere ultimamente ascolto spesso.
E' come.. è come se la notte fosse densa, e mi sembra quasi di sentire il tempo scandire gli ultimi istanti -ma di chi, poi?-, un respiro non mio, non fisicamente presente, che crea una melodia che pare quasi io conosca da sempre. Sembra di sentire la vita che trascorrerò senza di te.
Di notte un bacio vola verso l'infinito. Infinito positivo, però, ché la distanza che ci divide è crescente, sempre di più, e mi uccide, sempre di più.
Stasera ho voglia delle tue labbra, che in genere sono una delle ultime cose a cui penso, ma è come se mi trovassi nel deserto e le tue labbra fossero una sorgente d'acqua pura con cui placare la mia sete.
Sembra di brancolare nel buio, ora che non ci sei. Chissà chi te l'aveva donata, la tua luce. Chissà chi l'ha deciso, che era l'unica capace d'illuminarmi perfettamente.
Tutto sembra sbagliato, perché il nostro tempo insieme non conoscerà mai futuro, solo passato, perché il nostro tempo insieme è finito e destinato a non essere mai più, e ci sarà un giorno in cui potrò dire di avere amato, amato veramente, e quel giorno starò vivendo del tuo ricordo come faccio un po' adesso.
Il tuo ricordo.
Il mio ricordo.
Il ricordo delle mie dita che accarezzano i tuoi capelli ed i tuoi zigomi.
Il ricordo del tuo calore e del tuo sorriso più marcato sotto il mio tocco.
Il ricordo del mio nome sulle tue labbra.
Eppure.
Eppure voglio pensare che questa notte sia mia, sia tua, sia nostra.
La nostra notte ed io ci terrò nascosti al mondo assopito e disattento, perché per stanotte, di nuovo, io sarò tua e tu sarai mio. Di nuovo.
Di nuovo prima del dolore, mio e tuo.
Prima della tua fine, o forse della mia.
Stanotte lascerò che il mio cuore ti ami senza dirgli che è sbagliato, adesso.
Stanotte lascerò che i miei occhi ti amino perdendosi nelle immagini di te che gelosamente conservo appese dietro le palpebre.
Stanotte lascerò che i miei pensieri ti amino.
Stanotte ti amerò, perchè sarai solo mio. Di nuovo. Solo mio.
Stanotte e mai più.
Stanotte e per sempre.
E rideremo ancora; come sempre, come ora.
Gli angeli vivono in cielo, ma tu resta qua con me.
Amo le persone che capiscono cosa voglio dire anche se di fatto non lo dico. Le amo. Soprattutto se mi guardano con quella meraviglia che un po' pure m'appartiene, con quel calore che ti prende dentro quando trovi qualcuno che la pensa come te e, finalmente, non ti senti più solo ed idiota.
Le amo perché, appunto, mi sento meno sola ed idiota, e nel frattempo sono responsabile di quel peso che se ne va anche dentro di loro.
Vorrei parlare più spesso, con persone così.

novembre 25, 2010

Erano mesi che non succedeva di nuovo davanti alla gente e invece ieri tacchete, 'n'altra volta nell'archivio a regolarizzare il respiro e a bere quel cazzo di the che vorrei sapere quando lo capiranno che mi fa altamente schifo e non mi serve assolutamente a un cazzo, ché io di zucchero nel sangue ne ho fin troppo, quello che mi serve sono un cuore e un cervello nuovo.
Il the non contiene né uno né l'altro, che se lo mettano in testa.
The a parte, son tornata ad essere Hector Horeau.
E' tornato quello stramaledetto demone che mi gioca nella testa nei momenti più impensati, inspiegabile canaglia, fottuto fantasma che senza avvertire tutto d'un tratto mi lorda l'anima con quel tanfo di morte, subdolo nemico bastardo che mi rende ridicola al mondo e a me stessa.
Ho avuto il tempo di pensare se sarei riuscita a tornare alla mia sedia, e son crollata.
La parte buffa arriva quando, saputo che è succeso di nuovo, tutti hanno iniziato a chiedere come stessi. Il tutto, lasciandomi completamente indifferente.
Sono rimasta chiusa in casa dall'ora di pranzo che non son tornata da scuola, a ordinare in modo maniacale le mie cose e a ritagliare pezzi di giornale da conservare prima di buttarli via. L'assoluta stupidità delle mie cose mi tranquillizzava. Il solo pensiero di uscire di casa risvegliava il mio demone personale, mi bastava guardare fuori dalla finestra per ricominciare a sentire il mondo ondeggiare e fiutare quel tanfo di morte che di solito precede il tutto.
Sono lucidamente consapevole di avere l'anima lisa come una ragnatela abbandonata. Uno sguardo, anche solo uno sguardo, la potrebbe squarciare per sempre
Sarà per quello che oggi ho accettato d'andare in giro a comprare le ultime cose per il compleanno di domani sera -che mi vien male solo a pensare di andarci- con quell'altra. Mi è sembrato un buon modo per squarciarla definitivamente.
Peccato che non abbia funzionato.


Sì, ho usato parecchie frasi di Castelli di Rabbia.
Le avevo in testa e le ho adattate a quel che volevo scrivere io.
Baricco non avrebbe potuto spiegarlo meglio e io non avrei saputo farlo meglio di lui, indubbiamente.


In conclusione, sto una merda, non mi vengono i problemi di geometria, ho voglia di scrivere fino a farmi consumare le mani, bere caffè fino alla schizofrenia e non mangiare per una ventina d'anni.
Ho voglia d'andare a dormire e restare a letto finché non mi farà male tutto e non dovrò alzarmi per forza, e tornare a bere caffé e scrivere.
E invece niente, devo finire i compiti e domattina alzarmi per andare ad affrontare un'altra giornata di merda in quella scuola di merda.
Il tutto, con il mio demone personale.
Credo che lo chiamerò Reginald.

Just saying.

Mi sono rotta i coglioni di tutto e non mi sopporto quando dico continuamente d'essermi rotta i coglioni, il che significa che mi sono rotta i coglioni d'essermi rotta i coglioni, e questo è tutto un circolo vizioso che mi porta semplicemente a rompermi i coglioni.
Detto ciò, quando mi scogliono -tanto per non usare di nuovo 'rompersi i coglioni'-, non me ne frega più un cazzo. Di niente.
Neanche dei problemi degli altri, per dire, che in genere sono la mia priorità. Di niente.
Quindi, ecco, essendo io scoglionata, è inutile che vieni a rompere le palle raccontandomi dei tuoi inesistenti problemi quando non me ne può fregar di meno, perché poi va a finire che ti mando affanculo. E voglio vedere da chi vai a cagar la minchia poi.
Per dire.
Domani torna la pioggia dopo solo mezza giornata di sole, arriva l'ondata di freddo glaciale e forse nevica.
E chissenefrega.

novembre 23, 2010

Certe volte, tipo adesso, mi chiedo cosa penserà chi capiterà qui quando sarò morta. -pensieri macabri, mod. ON.
Mi viene in mente la frase "Un penny per i tuoi pensieri".
Secondo me, dopo avrebbero un valore più alto. Molto più alto.
Anche perché quando muori, paradossalmente, le persone iniziano ad ascoltarti.
Non è buffo?


Non che io abbia risposto alla domanda che m'ero posta in principio e che continuo a pormi, eh. Anche perché non so cosa penserebbe la gente. Però, insomma, non sarebbe così bello sapere che dietro la facciata di ragazza felice e contenta c'era una perennemente depressa/incazzata. Chissà che delusione.
Prima di morire lo cancellerò, questo blog. Sarà un peccato, ma è il male minore.
Quanto mi piace mettere gli aggettivi prima dei sostantivi e piazzare avverbi tra due virgole. Mi fa stare proprio bene.

Chissà se quest'attenzione maniacale per l'ordine delle parole e le posizione delle virgole non sia in realtà una psicosi che mi mangia il cervello. Sarebbe figo, una volta arrivati in qualsiasi luogo successivo alla morte.
"Com'è morto, lei?"
"M'han mangiato il cervello."
"Cannibali?"
"No, avverbi e virgole. Neanche me ne sono accorta, ci pensa? Terribili le dico, terribili."

novembre 22, 2010

Quando ti si apre la mente.

La cosa che mi piace pensare è che io non finirò così.
Mi piace pensare che io saprò riconoscere l'uomo giusto, quello che non sarà perfetto, ma giusto, giusto per me, giusto abbastanza da crescere con me, combattere con me, invecchiare con me; quello che mi sorriderà anche quando farò cadere l'olio e che mi abbraccerà quando la domenica mattina lo sveglierò per fare colazione insieme; quello che la sera, quando torneremo dal lavoro, mi sorriderà e mi farà venire voglia di sorridere a mia volta, a prescindere da tutto quello che mi è capitato prima; quello che curerà le mie ferite quando il mondo colpirà troppo forte e che mi permetterà di medicare le sue, perché altrimenti mi sentirò uno schifo.
Mi piace pensare che tutti questi anni di matrimoni finiti male che consumano le persone e di 'Mi raccomando, tu non ti sposare!' mi abbiano insegnato a innamorarmi della persona giusta per me, quella che mi permetterà di andare da mamma con gli occhi vivi solo per dirle "Sai mamma? Ce l'ho fatta. Ho trovato quello giusto, ci pensi? L'eccezione. Lui non è come babbo, sai? Lui sorride, mi abbraccia, mi ascolta e mi parla, e, pensa, quando cado e mi faccio male, lui mi aiuta, mi tira su, e, anzi, quando mi cedono le gambe lui mi tiene per i gomiti e cerca di non farmi cadere proprio. E poi mi parla dei suoi problemi, mamma, e mi fa sentire importante così, come se davvero mi amasse, e infatti mi ama, capisci? Sembra così incredibile.. Si fa dare consigli e, ogni tanto, li ascolta. Mi piacerebbe l'avessi provata anche tu, questa sensazione meravigliosa. Almeno una volta. Però io ce l'ho fatta. Ce l'ho fatta. Io. Non sei contenta mamma? Non sei contenta?".

Conludendo, posso dire che ho appurato tre cose:
a) Sono una gran sognatrice. Prima o poi mi stancherò di schiantarmi ripetutamente contro la realtà, no?
b) Quelle sono le esatte parole che le avrei detto per presentarle lui, se solo avessi avuto tempo e coraggio.
c) Tutto quello che penso/faccio è condizionato dalla vita dei miei genitori. E questo è male.

novembre 20, 2010

Sembra quasi che tu abbia l'esclusiva di certe cose, e che tutti gli altri stiano sempre meglio di te. Sempre.
Solo tu puoi stare male a vedere una persona che ti ricorda un determinato periodo della tua vita, e poi quando io ti dico che vedere certe persone mi fa un male cane e mi costa fatica, tu mi guardi come se io fossi un'idiota.
Sai cosa? Forse hai ragione. Forse sono un'idiota.
Sono un'idiota perché non vengo davanti a te a dire 'Sai una cosa, esimia testa di cazzo? Non esisti solo tu, e far finta d'essere altruista non ha mai reso una persona meno egocentrica ed egoista, capito? Perché io, forse, la vita l'ho avuta difficile quanto la tua, se non di più. Le persone le ho perse anche io e, pensa un po', io, a differenza tua, non posso farci niente. Quindi smetti di esagerare una stretta allo stomaco che proviamo tutti solo per farti compatire, perché quando fai così mi fai solo schifo'.

Inutile anche scriverle, queste cose. Io non le dirò mai, e tu non le leggerai tra le righe.
Continuiamo a roderci il fegato.

Pulizie di Novembre.

Mamma tira fuori delle cose da una scatola rossa dove la mia scrivania
«Questi? Guarda un po' cosa c'è da buttare via».
Riconosco quelle cose. Con tono incazzoso: «Erano dentro alla scatola? Lasciali dentro alla scatola!»
Mi guarda. Chissà cosa vede. Sospira. «Dammi uno straccio che ci do una pulita».
Pensavo che se proprio dev'essere qualcuno dovrebbe essere lui, perché mi abbraccia ogni volta che mi vede e quando lo fa mi sento così bene che mi chiedo perché non possa abbracciarmi sempre, in ogni momento.
Dovrebbe essere lui perché mi piace accarezzargli i capelli, sensazione che di solito non provo -e non so se è perché c'è chi mi viene ad abbracciare e mi fa sentire i suoi capelli che sembrano acciaino o perché è una cosa che facevo sempre a lui per farlo rilassare-, fatto sta che i suoi capelli li accarezzerei spesso.
Lui perché la sua guancia è morbida e mi piace quando i baci glieli do con lo schiocco, con lui che mi guarda e ride.
Lui perché quando sorride sembra un bambino, e quegli occhi che gliel'ho sempre detto che glieli caverei per mettermeli sul comodino diventano d'un colore indescrivibile e luminoso.
Lui perché mi prende in giro senza farlo realmente, e quando faccio l'offesa m'abbraccia a m'accarezza i capelli.

Quindi insomma, io non sono innamorata di lui perché comunque sono innamorata dell'altro lui, quello importante, quello di cui parlo sempre quando scrivo, però se un giorno mi dovesse passare per la mente di rifarmi una vita, credo che dovrebbe essere con lui, e non so se il pensiero mi fa sorridere o venir l'angoscia.

novembre 16, 2010

I'd like.

Mi piacerebbe ricordarti cos'è successo l'ultima volta che hai fatto così, il male che hai sentito, le notti che abbiamo speso, io e te, rispettivamente ad ascoltare ed a sfogarsi. Poi mi dico che magari tu non ci stai neanche pensando e che delle mie ansie non hai bisogno, e allora sto zitta. Sono ottimista e okay, ma nel frattempo faccio un po' di spazio per le tue confessioni, dentro, e preparo la spalla ad assorbire le tue lacrime, in caso servisse.
Mi piacerebbe dirti che io non sono più la stessa, e se son cambiata io è cambiato anche il nostro rapporto, anche se poi non lo so se son cambiata anch'io o se è cambiato solo il rapporto, perché ho il brutto difetto di non dire le cose, e macino macino macino, e alla fine arrivo a detestarti per quella discussione di un secolo fa, e tutte le cose che succedono adesso son conseguenze. Poi penso che non è vero che è cambiato il rapporto, sono solo nervosa, poi mi passa. Passa sempre. E se non passa lo lascio lì a marcire. Sai quanta differenza fa un po' di fango in più nella palude.
Mi piacerebbe prenderti da parte e dirti che sto male, che mi dà fastidio quando dici certe cose, quando fai certe cose, che quando mi sproni dicendo che devo trovarmi un rimpiazzo -non dici 'rimpiazzo', ma sai che è così- mi fai più male di quel che pensi, perché non solo il pensiero di un rimpiazzo mi distrugge, ma si aggiunge anche il sospetto, il pensiero, la consapevolezza che tu non m'hai mai capita, capita per niente. Poi penso che tu non lo fai di proposito, che sono io che son fatta così, che mi faccio far male da tutto, che son fatta come le bolle di sapone. Una statua di vetro. Incrinato, adesso.
Mi piacerebbe poter trovare il coraggio di darmi la possibilità di stare meglio affrontandoti, ma ti conosco, so che la permalosità è parte integrante di te, e sto zitta.
Perché non ti accorgi di niente?

novembre 15, 2010

Adesso ci vorrebbe uno di quegli abbracci, uno di quelli suoi, che ti strappano via dal mondo, ti mettono un po’ in ordine dentro e quando ritorni alla realtà non hai più paura.

novembre 14, 2010

Tipo che non riesco più neanche a tradurre le frasette mongole di latino.
Io non so più come dire al mio cervello di non pensare a lui.
Suggerimenti?

novembre 13, 2010

Will you come home and stop this pain tonight?

Sentire la mancanza di una persona è quasi parte integrante dell'essere umano.
Secondo me, quando ci fabbricano, ci danno una serie di cose che sono indispensabili. Un po' come motore e ruote per le macchine. Tipo: 'ognuno faccia come vuole, ma motore e ruote devono esserci per forza'.
Quindi quando fabbricano le persone in una grande fabbrica con le pareti azzurre mettono di serie tre cose: 'Talento innato per il combinare cazzate', 'Sonnolenza', 'Grande vuoto quando qualcuno se ne va'.
Neanche a dirlo, l'ultima la mettono sempre perché uno sì e uno no piazzano anche 'Capacità di scomparire dalla vita degli altri'. Che lo facciano come vogliono, alcune persone lo sanno fare benissimo. Ora si spiega il perché.
E comunque stavo dicendo che siccome io sono un essere umano, almeno finché non riuscirò a dimostrare che sono un panda, mi sento abbastanza giustificata quando mi viene da piangere e sento male allo stomaco e mi gira la testa e vorrei vomitare e non ho fame e mi tremano le mani e le gambe fanno Giacomo Giacomo.
Che io lo sia o no, giustificata, mi sento in diritto di sentirmici.
Fatto sta che, in diritto o no, stasera credo che mi verrà un infarto.
Non che ci sia un motivo in particolare, è un sabato come un altro, ma mi verrà un infarto, e tutto per colpa tua che non ci sei.
Potresti tornare, per una sera? Solo questa, solo stasera.
Il fatto è che son qui a scrivere quando in realtà vorrei aprire la finestra e urlare fino a che non inizierà a farmi male il collo dallo sforzo, e poi riprendere fiato e urlare di nuovo, urlare ancora, urlare finché sarò capace.
Vorrei urlare il tuo nome solo per sentirne il suono. Sussurrato non è la stessa cosa. Sussurrato mi fa paura.
Torneresti a casa, stanotte? In silenzio, non voglio grandi gesti. Vieni, ti sdrai vicino a me, e mi abbracci. Così. Ho voglia di dormire col tuo respiro tra i capelli e le tue dita tra le mie.
Possiamo?
Dico solo che non c'è suono più meraviglioso di un respiro.

novembre 12, 2010

Come accorgersi che s'è cambiati. Lezione Uno.

Rileggendo il blog mi sono accorta che appena l'ho aperto scrivevo di cose diverse. Cose astratte. Di me parlavo poco. O forse di più.
E poi scrivevo in modo completamente diverso. Meglio, peggio, non lo so. Ma diverso.

novembre 11, 2010

-Riuscirai mai a perdonarmi?
-Se non riuscissi a perdonarti, non ti meriterei.

Candles.

Le luci che si spengono ed essere da sola nel buio che, se ci pensi, è un po' meglio che essere da soli nella luce.
L'attimo in cui non vedo niente, e poi gli occhi s'abituano e inizio a distinguere quantomeno le mie mani. Muovo le dita -c'hai mai pensato? chissà quante e quali meravigliose esplosioni di colori, quando dal cervello parton gli impulsi nervosi.
Due candele accese sul tavolo, chissà chi e quando le hanno accese. Magari mentre immaginavo un'esplosione blu-rossa-viola nella mia testa e poi giù per il braccio.
«Vado al contatore».
Sì, mamma, vai. Vai. Io sto qui con me e le candele.
«Non farti male».
Sì, mamma, sì. Non mi faccio male. Lo so che poi le cicatrici, sulla pelle, le vedi. Chissà perché. Chissà perché le altre no, intendo.
Il telefono suona. Come cazzo fa, se la luce non c'è?
E' il cellulare, e questo spiega tutto. Fatto sta che non rispondo. Non si sa mai. Il telefono suona. Nokia tune. Mi sa che è meglio se mi decido a cambiarla, 'sta suoneria.
Il telefono, le candele, il buio, io. In ordine. Telefono, candele, buio, io.
Che poi sa molto di film orror.
Ora sbuca l'uomo invisibile e mi fa 'bu'. Neanche a dirlo, l'uomo invisibile sarebbe lui. Neanche a dirlo, non mi farebbe paura.
Anzi.
Magari potrei anche farmi ridare il cuore, no? Ecco, sì, forse sarebbe carino.
«Un giorno mi restituirai tutto quello che di sei preso».
Mai successo ch'io parlassi da solo. Sto impazzendo.
Secondo me è colpa delle candele.
Un soffio. Il telefono non suona più.
Il buio, io. In ordine. Il buio, io.
Io non lo so se gli altri, nella mia situazione, sentirebbero le stesse cose.
So solo che voglio andare a letto e dormire cinquant'anni di fila.

novembre 09, 2010

non si torna indietro mai.

Mi ero ripromessa che oggi avrei fatto i compiti con il computer spento, ma dimmi tu come si fa a studiare se mi stai sempre appiccicato come 'na piattola e non mi lasci abbastanza spazio nel cervello per pensare a Renzo, Lucia, Circe, Calipso, Ulisse e le disequazioni.
Non è che sia tanto facile, eh. Ché, voglio dire, fintanto che devo fare inglese ci puoi anche restare, qui nella mia testa, voglio dire, fai come ti pare, poi potresti anche andartene, però.
No, vabbè, hai ragione anche tu. Mica è colpa tua. Son io che ti penso.
Però, ecco, insomma, troviamolo un compromesso.
È che mi piacerebbe tanto poterti dimenticare solo un po', giusto un'oretta, il tempo di fare i compiti più urgenti e scassacazzi, e poi, cioè, torna pure, anzi, torna e basta, senza il pure, torna e non t'azzardare a star via troppo, solo un'oretta, ci stai? Un po', solo un po', il tempo di poter scrivere di Ulisse senza che mi esca fuori un coso dal punto di vista di Ulisse che pensa a Penelope. Il tempo di poter descrivere Lucia senza scrivere che, insomma, lei che aveva Renzo che l'amava e che era lì per lei poteva anche rompere meno le palle e organizzare il matrimonio a sorpresa o scappare lontano, che non ha visto, poi, quanto fa male aver Renzo via senza sapere come sta? Il tempo di avere davanti un foglio bianco senza scriverci il tuo nome su un angolo, ecco, cosa che tra l'altro mi fa pure sentire un sacco stupida. Il tempo, il tempo soltanto, solo il tempo, di non mettermi a pensare che ci son parole che non dovrebbero essere pronunciate.
Voglio dimenticarti per un'ora e poter far finta che sto bene senza aver te che bussi e dici “Bene? Tu staresti bene? E io? E io che non ci sono sono fattore di benessere? Dove lo metti quel buco lì, quello lì, lì, lo vedi?, quello lì, dai, lo vedo io!, eh, quello, lo vedi? Dove lo metti? Ti fa star bene? E poi, vogliamo parlare del male che senti dappertutto quando la sera chiudi gli occhi e mi sogni, mh? Ne vogliamo parlare? Credi che io non ti veda, che piangi e stringi i denti e abbracci il cuscino e canticchi le canzoni per non sentire le voci dei ricordi che ti fan venire mal di testa? Non ti vedo, secondo te? Pensi davvero di poter far finta?”. Voglio dimenticarti e poter dire “Sto bene” senza te che bussi. Voglio dimenticarti e stare un attimo senza mal di stomaco, che chissà se così almeno riuscirei a mangiare qualcosa. Voglio dimenticarti senza aver paura di farlo.
Voglio dimenticarti e non avere negli occhi tu che te ne vai.

“Scomparire” è una parola che non dovrebbe avere suono.

novembre 06, 2010

Certe persone vorresti semplicemente mandarle a fanculo.

novembre 05, 2010

ciò che ci rendeva compatibili era l'amore; per il resto facevamo a cazzotti.

Me l'avessero detto quando non lo sapevo mica c'avrei creduto.
Tu alto io bassa, io mora tu mezzo biondo, tu estroverso io timida, tu scrittore io lettrice, tu musicista io impedita, tu atletico io imbranata, io autunno tu primavera, io sciarpa tu cappello, io occhi tu labbra, tu sud io nord, io est e tu ovest.

dentro alla bocca stringevo parole troppo gelate per sciogliersi al sole.
Non riesco a credere nel per sempre.
Non dopo noi due, almeno.
Nothing lasts forever come cantavano i Guns e io so che è così, perché che è finito se non tutto quasi, ce ne siamo accorti.
Però quegli anni insieme sono stati belli. Ce li siamo vissuti e goduti, insomma.

time to say goodbye (?)

Sei la causa del mio mal di testa, del mio mal di stomaco, della mia insonnia, della mia agorafobia, della mia sociofobia, della mia angoscia, della mia malattia, della mia disperazione.
Sei la causa del mio batticuore, dei miei sorrisi, del mio amore per la musica, della mia voglia d'imparare, delle mie idee più radicate -e di cui vado più fiera-, della mia passione per l'inglese, della mia mania d'appuntarmi frasi ai margini dei fogli.
Come faccio a togliere te dalla mia testa, dico io?

Ho perso il vizio di chiedere sempre per favore.

Ho sempre avuto l'abitudine di chiedere il permesso per tutto, sempre dicendo 'Per favore'.
Per dire, quand'ero piccola ed ero in casa chiedevo 'Mamma, posso andare in bagno, per favore?'. E lei me lo diceva, 'Sei in casa, non serve che chiedi il permesso', eppure io ho smesso da poco.
Anche per entrare ed uscire dalla vita delle persone chiedevo il permesso per favore. Non verbalmente, ma ci siamo capiti.
Io con alcune persone stavo male, eppure me ne andavo a piccole dosi, per abituarle all'assenza, come a dire 'Posso andare, per favore? Posso andare e non tornare più, per favore?'.
Qualcuno ha risposto sì, altri mi han negato il permesso e io ancora lì, sono.
Adesso ho perso il vizio.
Se devo andare in bagno vado.
Se con te sto male, esco dalla tua vita e ti faccio uscire dalla mia.
No, forse sull'ultima ci devo ancora lavorare.