aprile 20, 2014

"Quando sei nata, non si staccava un attimo da te"

A volte mi chiedo se ti capita di guardarmi e stilare mentalmente una lista più o meno lunga delle cose che ci accomunano, come il brutto carattere o le sfumature dell'iride.
Quando me lo domando in genere ti fisso, e allora involontariamente la lista la scrivo io. Dal momento in cui mi rendo conto che le voci sono molte, inizia a vorticarmi in testa una domanda, formulata ogni volta in forma diversa, ma che sostanzialmente consiste in quell'interrogativo che mi assilla da anni, ovvero come diamine fai ad ostentare una simile indifferenza nei miei confronti. Come puoi non pensare ai nostri occhi tanto simili, al nostro stesso colore di capelli, alla nostra medesima carnagione, alle mie lentiggini sulle braccia tanto simili alle tue, al nostro stesso modo di guardare in basso prima di ridere, o a un'altra qualsiasi cosa che ci accomuna, prima di voltare lo sguardo e cambiare stanza mentre io cerco di parlarti di ciò che ho deciso per il mio futuro, o mentre ti racconto un aneddoto più o meno divertente delle mie mattinate scolastiche, o mentre tento più o meno goffamente di esprimere, seppur magari in modo discutibile, ciò che provo o penso circa un argomento qualunque?
Poi passo alla domanda successiva, che però riguarda me, e più propriamente mi chiedo perché diamine, dopo quasi vent'anni, ancora m'importi.
Sì, ancora m'importa, e ancora mi viene da piangere quando non mi guardi, non mi ascolti, non mi parli, non mi stringi. Ancora m'importa, e ancora mi viene da gridare quando m'interrompi mentre ti parlo per dire cose che non c'entrano niente, quando mi scacci se tento di abbracciarti, quando ridi al pensiero di me che faccio bene qualcosa che non sia studiare, quando fai spallucce se ti dico che ho preso nove di matematica, o quando neanche mi guardi se ti chiedo come è andata al lavoro.
E soprattutto, io, ancora, dopo quasi vent'anni, non trovo neanche uno stralcio di risposta degna di essere considerata tale, dunque mi limito a restare qui seduta a fissare il vuoto e a compatire me stessa, ché mi pare l'unica cosa che mi resta da fare quando penso a te e a me, che pur condividendo mezzo patrimonio genetico siamo due estranei che a malapena si augurano buona pasqua.