ottobre 09, 2010

A caval donato.

Mi sono riletta tutto tutto tutto il libro che mi hai regalato, perché ho pensato che forse adesso avrei potuto capirla meglio, quella frase scritta sulla carta da regalo rossa -tu facevi tutto con il rosso, dicevi che bastava un solo dettaglio rosso e tutto diventava più bello; io avevo sempre le guance rosse, quando c'eri tu. Ora anche loro sono prive di colore-.
C'era scritto "Noi non moriremo mai, te lo prometto".
E lì per lì, cioè, voglio dire, non è che a tredici anni uno possa capire cosa un amico -eri ancora un amico, tu, per me- intenda con una frase del genere.
Ho aperto il pacchetto, dentro c'era il libro. Il libro l'ho letto, me ne sono innamorata. Però, però. Mancava la tua frase, da capire. Nel senso, che poi era una citazione della storia di Jun e il signor Rail l'avevo capito, e infatti poi ero venuta da te sorridente e t'avevo abbracciato.
Tuttavia, solo adesso, adesso, stamattina, ho capito cosa volevi dire, quando hai detto 'Non moriremo mai'.
E avevi ragione, come sempre, mio piccolo signore. E adesso, come prima, ma intendo dire, adesso capisco perché tu avessi scelto proprio quello, di libro, per noi due. Che io, cioè, a Jun non ci assomiglio per niente, e okay, ma tu e Dann Rail siete identici. Insomma, tu sognavi di andare ad Amsterdam in treno, sognavi il viaggio, più che la meta, e mi raccontavi di posti che non avevo mai visto ma che se dovessi vedere avrei quella benedetta sensazione di deja-vu, perché ho visto tutto, stando con te.
Mio piccolo signore, avevi ragione tu. Noi non siamo morti
Non è possibile morire vicino a te.

Non pensarmi mai, se non ridendo.
Addio.

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