luglio 25, 2011

Meglio pensarci domani alla muta distanza che scorre tra noi quando non sei vicino a scaldare i miei sogni, quando i sogni nemmeno son qui.

Dicono diventi più semplice ed io ho francamente smesso di crederci da un po', perché ho avuto la dimostrazione pratica del fatto che più il tempo passa più questa merda diventa sempre un più grande casino, uno di quelli che ti vien voglia di strapparti la pelle ed i muscoli finché visibili non ci saranno solo le ossa, almeno quelle del busto che mi piacciono tanto.
Qui tutto diventa tutto tranne che semplice, sarà perché ho il maledetto vizio di rendere le cose più complicate di quanto non siano già, lo dice anche la professoressa di matematica che per arrivare a Milano passo da Palermo pur vivendo in alta Toscana. “Mi godo il panorama”, le rispondo, ma non so più se ne valga la pena.
Nella pratica, intendo.
Non so più se valga la pena immergersi fino a fondo nel dolore ogni volta che il singolo e sfaccettato pensiero di lui mi sfiora anche solo lontanamente, sprofondando in una palude di pensieri che non ho voglia di bonificare e che mi causa perennemente capogiri ed emicranie.
“Hey, va tutto bene, dai! Siamo tra amici, ridiamo e scherziamo, cosa c'è da stare male?”.
Ha ragione, in fondo. È così che dovrebbe andare, dovrebbero bastarmi serate trascorse sugli scalini di marmo di una vecchia scuola che poi così vecchia non è a fumare (troppe) sigarette, far cadere accendini e dover fare venti scale per prenderli.
Eppure.
Eppure è tutto lontano, come se io non ci fossi, come se tutto fosse un film, un incubo da cui vorrei solo svegliarmi seppur lo trovi piacevole, perché c'è qualcosa che stona, c'è qualcosa che non va. Io.
Sono io che non vado, alla fine è questo il problema. Il mio disagio è causato dal semplice fatto che da quando lui non c'è non riesco più a trovarmi completamente bene con nessun altro, ed il lutto è tanto difficile da superare che in serate come questa, se penso al mio futuro, tutto ciò che vedo altro non è che una persona infinitamente sola, senza telefono e con un sacco di libri e fogli scarabocchiati, pieni di frasi che nessuno più leggerà.
Probabilmente – questa è quasi una speranza – mi spegnerò come Marius Jobbard, dissanguato dopo aver scritto la sua ultima lettera.
In serate come questa, oltre al catastrofico pessimismo che mi caratterizza in questa specifica situazione, è facile credere che magari dormendo qualcosa succederà, che sogno e realtà siano in verità invertiti, e che sognando io possa quindi ricongiungermi a ciò che (io vorrei fosse) reale.
E insomma niente, vado a letto, sarà meglio pensarci domani, con il sole e l'odore dell'erba bagnata, domani che tu mi mancherai un po' meno, forse, domani che potrò cercarti nella nicotina e nell'alcol, domani che indosserò la maglia che – dicevi – mi sta meglio di tutte le altre, domani che andrò a comprare i biglietti per il pianista che, insieme, veneravamo, e che viene qui proprio adesso che noi, io e te, insieme non possiamo più fare un emerito cazzo.

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