Ciao,
sono io.
Sì,
lo so, ci siamo salutati neanche un'ora fa, ora farai qualche battuta
stupida e io riderò coprendomi la bocca – e tu scosterai la mano
perché non vuoi che io mi nasconda, lo dici sempre, ma non è
rilevante.
Tutti
mi chiedono di te perché sanno che mi avevi fatta arrabbiare, che
non mi parlavi e preferivi di gran lunga uscire con una bionda che ti
ha sempre preso in giro piuttosto che con me che invece ti rispetto e
ti voglio bene – forse un po' di più, ma neanche questo è poi
tanto rilevante.
Sei
arrivato mentre appunto rispondevo a questa domanda, mi hai
abbracciato, ti sei seduto accanto a me e mi hai fatto sedere sulle
tue gambe, come se non fosse mai passato questo mese in cui mi dicevi
bugie per non vedermi, non mi rispondevi al telefono e mi trattavi
male con qualsiasi scusa (come il fatto che cammino lentamente, ad
esempio), mi hai dato tanti baci sulla mascella e mi hai detto che
hai indovinato cosa ti regalerò per il compleanno. Speravo ti
sbagliassi (perché ti sei sbagliato, vero?) come ieri che mentre mi
tappezzavi di baci hai fatto sfiorare le nostre labbra, ma non l'hai
fatto, però mi hai morso la guancia ed il naso – che naso
freddo che hai, madonna, vieni, mettilo sul mio collo che si scalda,
tanto io non ho freddo.
Abbiamo
riso e scherzato per un'oretta, hai rotto una sedia, hai mangiato
metà del mio pancake e mi hai sporcato il naso di Nutella che poi ti
sei premurato di mangiare direttamente dalla mia pelle – Come
profumi! – come mai avevi fatto.
Ho
ricevuto una telefonata che mi ha reso triste, mi hai chiesto chi
fosse e non te l'ho voluto dire, così hai appoggiato il tuo naso al
mio e me l'hai ridomandato guardandomi negli occhi, io sentivo il tuo
fiato sulle mia labbra e volevo sporgermi in avanti, ma non l'ho
fatto e in ogni caso non ti ho risposto.
Dopo
ero seduta con le gambe accavallate e mentre parlavamo con i nostri
amici hai iniziato ad accarezzarmi la coscia, andando sempre più
verso l'interno, io ti ho guardato confusa, tu mi hai sorriso ed io
ti ho chiesto di smetterla, così hai iniziato a ridacchiare
guardandomi negli occhi e, ovviamente, senza togliere la mano –
volevo chiarire che non te l'ho chiesto perché mi desse fastidio o
che altro, semplicemente perché per me è difficile starti accanto
sapendo che tu scherzi ma io no, quindi ti sarei grata se per favore
tu fossi chiaro, ecco, e i tuoi gesti corrispondessero alle tue
parole.
Mi
sono alzata perché dovevo tornare a casa e mi hai accompagnato alla
bicicletta, mi hai abbracciata stretta stretta, mi hai detto “Domani
ci vediamo?”, io ti ho informato riguardo al mio orario scolastico
e tu mi hai promesso che domattina appena torni da Massa mi chiami
(ci credo poco, sai?), mi hai toccato le natiche
– davanti a te avrei detto 'il culo', ma qui siamo in internet e
voglio sembrare una persona fine, ogni tanto – ed io ti ho chiesto
chi ti avesse dato tutta quella confidenza.
Ecco,
lì, in quel preciso istante, mi è venuto un infarto, qui volevo
arrivare, perché tu mi hai toccato anche il seno
e mi hai bisbigliato, abbracciandomi e guardandomi negli occhi “Ti
tocco perché te sei mia, e solo mia”.
No.
Questo
ti volevo dire, con questa pseudo-lettera che non leggerai mai: no.
Cioè, sì, ma no.
Io
sono tua perché ti voglio un po' più di bene, non ti amo perché no
però ci siamo capiti, tuttavia non ti appartengo come intendi tu.
Io
e te siamo amici, no? Così hai detto, così dici agli altri, parli
di me come si parla di un amico maschio o di una sorella, quindi non
puoi dirlo, e soprattutto non puoi dirmelo così, con quegli occhi,
con quel sorriso, col cuore che pulsa sotto la felpa e contro il mio
orecchio, come se fosse una frase normale, come se fosse scontato,
come se fosse vero.